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Caronda



CARONDA - Filosofo, legislatore (Catania, oppure Turio [Lucania], VI sec. a.C, nato fra la XXIX e la XXX Olimpiade, cioè fra il 660 e il 654 a.C.).
Secondo gli storici Diodoro Siculo e Stefano Bizantino, e del resto la maggior parte degli storici antichi, egli fu catanese; altri, forse per il suo nome beotico, ritenevano fosse nativo della Boezia;
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Caronda
altri ancora lo dicevano originario della lucana Turio (credenza verosimilmente erronea, diffusasi forse per il fatto che le leggi da lui dettate per Catania furono poi adottate in quella città e in altre).

Come filosofo, precursore di Pitagora e di Platone; come legislatore,
emulo di Licurgo, precursore di Solone e di Dracone. Secondo Aristotele
(che nella Politica si occupò delle sue leggi) apparteneva (come Solone, alla media borghesia.

Nonostante le incerte notizie biografiche sul suo conto, gli storici moderni (Gaetano De Sanctis, Biagio Pace, Luigi Pareti) lo considerano personaggio storico; improbabile è la tesi del tedesco Karl  Julius Beloch, che gli negava realtà storica, proponendolo piuttosto come una ipòstasi (rappresentazione concreta di  un'entità  astratta della divinità solare.

Viaggiò in Sicilia e fuori, conquistandosi ovunque larga reputazione; quando la sua fama fu universale, lo richiamarono in patria. Le sue leggi, scritte in periodi ritmici, quasi versificati, sono un monumento di sapienza giuridica.

Si preoccupò particolarmente della solidità dell’istituto familiare, vietando
ai vedovi di risposarsi, pensando anche ai matrimoni falliti e alle coppie male assortite, consentendo che i coniugi si separassero e passassero a nuove nozze; curò la sorte degli orfani disponendo che fossero allevati dai parenti di parte materna e obbligando il parente più vicino, se si trattava di un'orfana, a sposare la consanguinea, o se era povera, a costituirle una dote di almeno 500 dracme.

Ecco, testuali, alcuni articoli delle sue leggi, che hanno un sapore di perenne attualità: « Siano ammessi alle magistrature » (allora tutte elettive) « quelli che sono tanto di scarsa quanto di ricca fortuna; e nessuno possa ricusarsi, sotto pena di multa, che sarà lievissima per i primi, grave per gli altri.
Si obbedisca alle leggi, anche se mal formulate
.

Si giudichi più onesto morir per la patria che abbandonare questa per amor della vita; giacche e più bello morir onestamente che vivere con turpitudine e menzogna. Siano condannati a sedere per tre giorni nel Foro, vestiti da donna, coloro che si rifiutano di prendere le armi in difesa della patria e disertano le sue bandiere, o disubbidiscono agli ordini di guerra.

Tutti i figli dei cittadini siano ammaestrati nelle lettere da maestri stipendiati dalla città. Girolamo Tiraboschi, storico del Settecento, a proposito di quest'ultima legge annotava: « Questo articolo e il primo esempio di scuola a spese del pubblico, aperta e con vantaggio e non piccola lode della nostra Italia ».

Fra le sue leggi, inoltre, ce n'era una — che si pretende comune alle leggi del siracusano Diode e del greco Zaleuco — secondo la quale chiunque si presentasse armato nel Foro, davanti al popolo e al Senato costituiti in assemblea e in atto di deliberare, dovesse all'istante essere condannato a morte.

Secondo una leggenda riferita da Valerio Massimo, un giorno, per sedare un tumulto, accorse egli stesso armato della spada che aveva poco prima usata in un'esercitazione militate. Accusato di contravvenire alle sue stesse leggi, egli si trafisse il petto dicendo: «Anzi, voglio confermarle ».

Secondo Diodoro Siculo, viceversa, quell'episodio ebbe invece a protagonista Diocle; egli stesso aggiunse che Caronda mori invece a Catania, di morte naturale, serenamente, fra il compianto di tutti.

Mario Rapisardi dettò la lapide che lo ricorda, posta dinanzi   all'anfiteatro   romano  di piazza Stesicoro (v. « Lapidi »). Nel 1524, racconta lo storico Tommaso Fazello (1490-1570), si credette di scoprire la sua tomba presso la chiesa di Sant'Agata la Vetere.

Studiosi del Settecento, come Vito Amico (1697-1762), credettero di vedere la sua immagine incisa nelle antiche monete catanesi.
Enc. di Ct Tringale Editore 1987